A 50 anni esatti dalla sua morte, ricordiamo così il Servo di Dio Robert Schuman, padre dell’Europa.
In collaborazione con il Centro Robert Schuman di Bologna e AEDE)
Si chiude, con l’anniversario della scomparsa, l’Anno dedicato a Robert Schuman (Clausen, 29 giugno 1886 – Metz, 4 settembre 1963) dall’Istitut Saint-Benoît, che ne promuove il processo di beatificazione.
Bella iniziativa, grande occasione per fare conoscere la figura e l’opera di un uomo, come T. Moro, “politico e santo”, “rara avis” del panorama di ogni tempo; peccato che non si tratti di una iniziativa corale europea; tanto più, che nessuno se ne sia accorto; decisamente i tempi, in questo mezzo secolo, sono molto cambiati. Eppure: se l’Europa – al di là dei suoi molteplici errori – può accingersi a festeggiare settanta anni di pace, da un certo momento in poi – dal 1950 – intenzionali, una “nuova pace” (oggi, forse un po’ invecchiata, con tutte queste “volontà di guerra”), senza dubbio deve molto, per questo esito, a Schuman; al quale a giusto titolo è stato attribuito il titolo di “Padre” della (nuova) Europa.
Scorrendo la cronaca dell’Europa di oggi, viene inevitabile chiedersi: quanto è rimasto, della lezione del padre? Che cosa voleva Schuman? Nella tragedia della guerra fra gli europei, ricercato dalla polizia tedesca, Schuman si confermò nell’idea che occorreva ripensare la relazione fra le nazioni, sostituendo, attraverso opportune soluzioni, la cooperazione alla ricerca della supremazia; le qualità proprie di ogni nazione avrebbero potuto essere messe al servizio di tutti, ottenendo esiti straordinari. Quello che serviva veramente non era rinnovare accordi, facili a rompersi alla prima occasione, ma cambiare il sentire reciproco: la guerra avrebbe potuto scomparire dall’orizzonte mentale degli europei solo se essi si fossero sentiti parte di una stessa realtà. Diveniva centrale la consapevolezza della propria storia comune, fondata, per tutti i popoli europei, sulla conversione al Cristianesimo e sui contenuti sociali e civili che ad esso si riferivano. Era lo sbocco logico, per quanto difficile, della azione sociale e civile condotta fra Ottocento e Novecento, e la soluzione “definitiva” di tutti i tentativi, condotti da vari punti di vista, di organizzazione unitaria dei primi cinquanta anni del secolo XX. Il progetto di J. Monnet offrì a Schuman, ministro degli esteri francese, la occasione che aspettava; con grande abilità riuscì a fare approvare l’idea, che si tradusse nel “Discorso dell’Orologio” del 9 maggio 1950. Facendo leva sullo strumento economico, l’unificazione spirituale e civile dell’Europa era avviata, aperta ai Paesi del Centro Est (allora, pura utopia) e all’aiuto ai Paesi ex – coloniali (allora, in gran parte ancora dipendenti dagli Stati europei). Un progetto di grande consapevolezza e profondità storica e di pensiero, che richiedeva collaboratori di uguale livello.
Il processo di pace fu avviato e realizzato, ed oggi la guerra fra gli europei è impensabile; ma, senza il fondamento delle fonti e degli ideali ai quali attingeva Schuman, il ritorno alla “vecchia” politica era ed è inevitabile, e lo si vede bene oggi, nel rischio, tutt’altro che remoto, che il “potere” europeo, nelle varie forme, sia tutt’altro da quello, al servizio di tutti, che volevano i Padri fondatori. Un “anno Schuman”, anche partendo da oggi, è quindi una occasione straordinaria, da cogliere, di riflessione e di progettazione.
Giampaolo Venturi (Centro R. Schuman /AEDE)
Francesco Masina (Cooperazione Cristiana per l’Europa)