Come la pandemia ha costretto i Paesi europei a compiere passi senza precedenti verso la fiducia e la corresponsabilità

Il processo d’integrazione europea, come tutti i grandi progetti, si è sviluppato fin dall’inizio (una data per tutte: 9 maggio 1950, Dichiarazione Schuman) in modo variegato, altalenante, con grandi slanci e improvvise cadute. Di queste ultime, il primo esempio è il progetto della Comunità Europea di Difesa tanto auspicato da uno dei padri dell’Europa, Alcide De Gasperi, e naufragato negli egoismi nazionalistici. Gli avvenimenti storici successivi hanno poi dimostrato che se l’Europa avesse avuto un esercito comune tante situazioni avrebbero potuto avere sviluppi diversi. In questa altalena uno dei punti più bassi è stata la gestione, da parte degli organismi europei, della crisi 2008-2011 e anni successivi – la cosiddetta crisi Lehman Brothers – che ha messo l’Unione di fronte alle fragilità dovuta alle sue molteplici anime, dovuta anche alla concomitante stagione delle numerose adesioni: dal 2004 al 2013 l’UE è passata da 15 a 28 membri (ora 27 dopo la Brexit).

UNA SVOLTA INSPERATA

È con grande entusiasmo e meraviglia, quindi, che poche settimane fa, abbiamo assistito ad uno dei più grandi capovolgimenti della storia dell’integrazione europea: la creazione del Recovery Fund e l’adozione del Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, predisposti per affrontare la grande crisi della pandemia. Il primo è il piano di investimenti per 750 miliardi fra prestiti e sovvenzioni, abbinato al secondo che consiste nel bilancio UE dei prossimi 7 anni. In parole molto semplici, gli Stati europei hanno deciso che per far fronte a un’emergenza così acuta è necessario ricorrere ad un debito comune europeo, un tema finora osteggiato dai più. Si potrebbe dire c’è voluto il Covid-19 per “risvegliare” l’UE e i singoli Stati sul fatto che costituire una comunità implica solidarietà e fiducia. L’obiezione è giusta, ma non va dimenticato che il progetto attuale nasce dall’immane conflitto della Seconda guerra mondiale e dalla consapevolezza, soprattutto di italiani, francesi e tedeschi, che nel futuro non ci poteva essere che un progetto di pace, di unione e di corresponsabilità.

La “rivoluzione” del Recovery Fund è stata determinata dal cambiamento di portata epocale della Germania circa la mutualizzazione del debito, unita alla forte determinazione dell’Italia, della Spagna e prima ancora della Francia, la quale ha scelto di operare come un grande paese del Sud Europa e non solo come un componente dello storico asse franco-tedesco.

LA POSTA IN GIOCO OGGI E DOMANI

Il grande cambiamento non ha valore solo sotto il più importante aspetto economico, finanziario e sociale, ma anche dal punto di vista culturale e progettuale. Si tratta – secondo noi – di un ritornare allo spirito di Schuman, De Gasperi, Adenauer e altri padri fondatori, e di vedere sempre più l’Europa come la casa comune degli europei superando, almeno in parte, i nazionalismi.

Ora, al coraggio di queste scelte politiche occorre dare un seguito adeguato, che non è appannaggio esclusivo dei decisori politici o degli addetti ai lavori: l’intera società europea è chiamata dalla storia a proseguire sulla strada dell’unione come comunità di destino, perseguendo una visione alta dell’integrazione europea al servizio della «dignità trascendente dell’uomo», espressione di Papa Francesco nel discorso al Parlamento europeo nel 2014.

Sua Santità Papa Francesco al Parlamento europeo (2014)
Sua Santità Papa Francesco al Parlamento europeo (2014) [© European Union 2014 – source:EP]

Il richiamo alla trascendenza ci fa alzare lo sguardo e scorgere felici casualità (richiamando il noto aforisma attribuito ad Albert Einstein: il caso è la via che Dio usa quando vuole restare anonimo): la svolta di cui parliamo è avvenuta al Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020, quindi maturata in coincidenza con la memoria di tre Santi patroni dell’Europa, S. Benedetto (11 luglio), S. Brigida di Svezia (23 luglio) e S. Edith Stein (9 agosto).

LE REAZIONI DEL MONDO CATTOLICO

L’accordo dei Capi di Stato e di Governo dei 27 ha provocato le doverose reazioni dell’opinione pubblica, di cui desideriamo riprendere alcune voci con cui siamo in sintonia. Mons. Mariano Crociata, Vescovo di Latina e Vice-Presidente della COMECE, ritiene che il lavoro di contatto e dialogo che è stato svolto nelle settimane precedenti la storica decisione ha favorito un clima di equilibrio e rapporti giusti che sono stati i presupposti per ottenere il grande risultato. Dai Vescovi alle famiglie: secondo Vincenzo Bassi, presidente della Federazione delle associazioni familiari cattoliche europee, «L’unica soluzione concreta per unire tutti è una vera politica demografica per ogni Paese europeo, che garantisca il benessere dell’intera popolazione, preparando lo sviluppo e salvaguardando il sistema di welfare […, operando] scelte coraggiose e generative, che tengano conto del ruolo della famiglia, rispettando in tal modo gli anziani e i giovani».

Per Gianni Borsa, giornalista dell’Agenzia SIR, dal Consiglio europeo di luglio 2020 «esce un’Europa “utile”, probabilmente necessaria, anche se attraversata – se ne avuta ulteriore conferma – da egoismi inconcludenti e nazionalismi miopi». La conferenza sul futuro dell’Europa, che dovrebbe decollare in autunno, dovrà fra l’altro mettere in agenda il superamento del diritto di veto da parte del singolo Paese.

Angelo Baglioni, docente di Economia Internazionale all’Università Cattolica di Milano, riconosce che «l’approvazione del Recovery Fund è un passo avanti importante, con il quale, forse per la prima volta, l’Unione Europea ha fatto prevalere la logica della solidarietà a quella del confronto sterile».

Infine, meritano attenzione le parole di Mario Draghi, già presidente della Banca Centrale Europea, al Meeting di Rimini il 18 agosto: «Da questa crisi l’Europa può uscire rafforzata; l’azione dei governi poggia su un terreno reso solido dalla politica monetaria, ma bisogna cambiare strumenti e obiettivi». Draghi ha concluso l’intervento con un appello a investire sui giovani, che dovranno farsi carico del debito di oggi. Occorrono quindi maggiori investimenti sull’istruzione: «È nostro dovere far sì che i giovani abbiano tutti gli strumenti per ripagare il debito creato dalla pandemia. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di disuguaglianza».

E SE L’EUROPA ASCOLTASSE L’ESPERTA IN UMANITÀ?

Dispiace che la miopia di chi guida gli Stati e l’Unione europea stessa abbia sempre bisogno di grandi pericoli per compattarsi e ritrovare l’accordo sulla strada da percorrere. D’altronde, una prospettiva di lungo respiro e fondata sul bene dell’uomo è unicamente possibile a chi possiede una visione alta del destino europeo. Quali meravigliose prospettive si aprirebbero se l’Europa dischiudesse il cuore anche alla voce della Chiesa, «esperta di umanità» (Paolo VI, Populorum progressio, n. 13)?